I Casoni

I  Casoni

Che cosa sono e dove si trovano

Sono circa una quarantina di costruzioni in pietra che formano una specie di villaggio. Si trovano a circa 1000-1200 metri di altitudine, a meno di un’ora di cammino dall’abitato di Castagnola, nei pressi della località detta Ponciore,  sul sentiero che collega il paese al comune di Ferriere, al di là del crinale, nella Val Nure.

Queste costruzioni venivano usate come malghe nella stagione estiva per il bestiame degli abitanti di Castagnola.

Non si sa quando furono costruiti i primi Casoni, probabilmente risalgono al periodo precedente all’anno 1000,  più o meno quando sorse l’abitato di Castagnola.

Castagnola e i suoi Casoni (presso la zona denominata “Ponciore”)

Come è fatto un casone

I Casoni, costruiti in pietre a secco, presentavano tutti la stessa struttura.

Ogni casone era a due piani: un locale a pianterreno aveva la funzione di stalla e uno al piano superiore era adibito a cascina, stalla e cascina erano separati da un soffitto/pavimento di legno.

Nella cascina si tenevano le foglie di faggio che venivano usate per la lettiera delle mucche e una riserva di fieno che serviva a integrare il pasto delle bestie in caso di necessità.

Adiacente a ogni casone sorgeva un’altra piccola costruzione, u casonen, sempre in pietra, che veniva usato come caseificio.

All’interno del casonen, addossate alle pareti, si trovavano delle panche e in un angolo c’era “a zigögna” , una specie di sostegno con un’asta che ruotava, alla quale era attaccata una catena che sosteneva un grosso paiolo di rame, “a ramera” , che poteva contenere fino a 120 – 150 litri di latte.

Sotto la ramera, sul pavimento di terra, veniva acceso il fuoco, protetto tutto intorno da un bordo di sassi.

Sulle panche si tenevano “i terazzi” , grosse zuppiere in terracotta , smaltate all’interno in vari colori, nelle quali si metteva il latte della mungitura serale.

In questi piccoli casoni si tenevano anche pentole e stoviglie necessarie alla vita quotidiana.

La vita ai Casoni

Tutti gli anni, in primavera, avveniva la transumanza.

Dal paese partivano gli abitanti con le loro bestie: mucche, pecore e capre, e si incamminavano su per il sentiero che portava ai Casoni.

In quell’occasione era necessario trasportare anche tutto l’occorrente per la vita alle malghe, secchi e contenitori vari, il tutto sulle spalle in quanto non venivano usate bestie da soma.

Arrivati a destinazione, bestie e attrezzi vari venivano sistemati nei casoni e la vita alle malghe prendeva il suo ritmo.

Tutti i giorni le bestie venivano condotte ai pascoli sulle alture fino al crinale tra la Val d’Aveto e la Val Nure: al Cantone, al Crociglia, al Carevolo…

Verso sera, quando il sole si abbassava e la strada per Castagnola incominciava a essere in ombra, le bestie venivano riportate ai Casoni.

Le mucche si dirigevano autonomamente nelle loro stalle e qui avveniva la mungitura.

A questo punto i pastori avevano terminato il loro lavoro, quindi chiudevano i casoni e tornavano giù in paese. Ma non lo facevano mai a mani vuote, ne approfittavano sempre per trasportare a casa un po’ di legna, presa nei faggeti, che era utile anche d’estate perché si cucinava sempre e solo sulla stufa a legna.

Il mattino dopo, all’alba, i pastori ripartivano alla volta dei Casoni.

Qui mungevano nuovamente le bestie poi alcuni di loro si dedicavano alla preparazione dei formaggi e del burro, gli altri portavano gli animali al pascolo.

Questa vita continuava allo stesso modo, dalla tarda primavera all’autunno.

Rimanevano in paese poche persone: gli anziani, i bambini piccoli e alcuni componenti di ogni famiglia che si dedicavano ai lavori nei campi.

Secchio per mungere
Sgabello per mungere

Dal latte ai formaggi

Il latte raccolto nei secchi durante la mungitura serale veniva consegnato alle famiglie che avevano l’incarico di preparare i formaggi il giorno successivo. A questo latte veniva aggiunto quello della mungitura del mattino.

Le famiglie incaricate procedevano alla preparazione del formaggio,  mentre le altre andavano al pascolo.

La sera precedente il latte era stato colato e versato nelle zuppiere di terracotta (terazze). Durante la notte la parte grassa del latte, la panna, saliva in superficie. La mattina la panna veniva schiumata con un grosso cucchiaio di legno e collocata nel burlarö, un recipiente di legno cilindrico che aveva come base una superficie rotonda bucherellata. Agitando il bastone in senso verticale si otteneva il burro.

Burlarö: attrezzo per fare il burro

Il latte senza la panna veniva versato nel pentolone di rame e attaccato alla  zigögna.  Veniva acceso il fuoco e si faceva intiepidire il latte poi si aggiungeva il caglio, si mescolava e si lasciava riposare circa un’ora e mezza dopo di che si provava a inserirvi un cucchiaio e se questo rimaneva in piedi il latte era cagliato.

Ramere: contenitori di rame che venivano appesi sopra il focolare con il latte

La cagliata veniva frantumata con un attrezzo di legno poi si raccoglievano le varie parti sbriciolate  con le mani e con un mestolo forato e si collocavano nella frescella, una forma cilindrica di legno, con il fondo forato, in modo da permettere la fuoriuscita del siero.

Frescelle: contenitori in cui veniva inserito il formaggio

La frescella veniva coperta con un telo bianco sul quale veniva appoggiato un “fondello” di legno rotondo e su questo un peso per provocare la totale fuoriuscita del siero.

Era necessario capovolgere periodicamente la forma, ogni 2 o 3 ore il primo giorno e successivamente una o due volte al giorno, sempre per agevolare  completamente la fuoriuscita del siero rimasto.

Dopo una settimana, quando la forma era bella asciutta e compatta, veniva tolta dalla frascella, salata e depositata in una specie di cassapanca di legno, u mastrellu.

Qui veniva lasciata due-tre settimane poi si toglieva il sale, si ungeva con l’olio e si depositava in una credenza chiusa con una rete per far circolare l’aria. Lì iniziava la stagionatura.

Si otteneva così il saporito formaggio, tipico di Castagnola.

Il siero rimasto nella ramera veniva fatto bollire dopo aver aggiunto un po’ di sale. Al primo bollore il grasso del siero si compattava e saliva in superficie formando la ricotta.

La ricotta veniva raccolta in un telo bianco e appesa ad asciugare. Il suo sapore era squisito.

Il siero restante veniva dato alle mucche.

La ricotta non consumata veniva fatta essiccare.

Veniva inserita in una gabbietta di legno, a sgarbagna, e appesa sopra il focolare in posizione inclinata. Il calore che saliva faceva sciogliere il grasso che veniva raccolto in un contenitore tramite una canalina.

Questo grasso, rappreso e collocato in una specie di ciotolina di metallo con uno stoppino di corda, veniva usato per l’illuminazione.

La ricotta veniva lasciata sopra il focolare fino a quando non era completamente secca e dura. Questo era un sistema per conservarla, così poteva essere usata, anche grattugiata, per diversi mesi.

In conclusione i prodotti ottenuti dalla lavorazione del latte erano tre: il burro, il formaggio e infine la ricotta, fresca e secca.

Torchio: nella frescella veniva inserita la forma di formaggio
Torchio: la forma veniva pressata per far uscire tutto il siero

La produzione del formaggio: un’organizzazione cooperativa

Per comprendere il tipo di organizzazione adottata dai castagnolesi per la produzione dei formaggi ai casoni occorre fare alcune premesse.

Non era né economico né funzionale che ogni famiglia producesse ogni giorno per sé il proprio formaggio perché spesso la ridotta quantità di latte a disposizione giornalmente (diversa da famiglia a famiglia) non permetteva di produrre forme di formaggio di dimensioni adeguate. Oltretutto se ogni giorno i pastori fossero stati impegnati nella lavorazione del latte non avrebbero potuto andare a far pascolare le bestie agli alpeggi.

Per questi motivi gli abitanti di Castagnola elaborarono una forma di organizzazione che permetteva a ogni famiglia, a turno, di produrre i formaggi per sé,  con un risparmio collettivo di energie e lavoro.

I turni dipendevano dalla quantità di latte prodotto, quindi chi possedeva più bestie produceva più spesso i formaggi, viceversa chi aveva meno capi di bestiame faceva i formaggi più raramente.

Questa organizzazione era basata sulla collaborazione, sull’economia del lavoro e nel contempo sulla giusta ripartizione del formaggio in relazione al latte prodotto.

Ai Casoni negli anni cinquanta e sessanta c’erano una quarantina di famiglie suddivise in quattro gruppi di produzione di circa dieci famiglie ciascuno.

Immaginiamo di essere ai Casoni all’inizio della stagione.

Arrivati alle malghe, i pastori portano le bestie al pascolo e la sera fanno la mungitura.

La famiglia che ha prodotto più latte, il giorno dopo farà per sè il formaggio usando il latte di tutte le famiglie del gruppo, quello ottenuto dalle mungiture della sera e della mattina successiva.

Le famiglie che hanno ceduto il loro latte accumulano un credito che sarà sommato a quello prodotto il giorno dopo.

Alla famiglia che quel giorno ha prodotto il formaggio vengono addebitati i litri ricevuti dalle altre famiglie, il debito si ridurrà di giorno in giorno con i litri di latte prodotti.

Il secondo giorno ogni famiglia sommerà il latte prodotto in giornata con quello a credito; la famiglia che totalizzerà il numero maggiore di litri farà il formaggio per sé il giorno successivo con il latte di tutti e decurterà dal proprio credito i litri di latte ricevuti dagli altri. E così via.

Di giorno in giorno ogni famiglia che non ha ancora prodotto i formaggi accumula litri di latte a credito e prima o poi risulterà quella che totalizza il numero maggiore di litri e toccherà a lei produrre i formaggi con il latte di tutti.

Così tutti riusciranno a produrre il loro formaggio.

Contenitore per misurare il latte

Proviamo a simulare la situazione in una tabella immaginando un gruppo di 7 famiglie.

 

1970:  un’opportunità per i  Casoni
Articolo della  “Libertà”, 25 gennaio 1970

L’articolo è stato gentilmente fornito da Pier Luigi Carini di Costa Curletti

Nel 1970 era stato avviato un progetto per la realizzazione di una strada che avrebbe collegato Castagnola (val d’Aveto) a Gambaro (val Nure) passando dai Casoni e attraversando il Cantone.

I rappresentanti dei diversi comunelli coinvolti si erano mostrati favorevoli al progetto che aveva già ottenuto un cospicuo finanziamento dal F.E.O.G.A.(Fondo Europeo di Orientamento e Garanzia) e dallo Stato.

L’articolo della Libertà mette in luce i vantaggi che ne sarebbero derivati: la valorizzazione dei pascoli alti avrebbe dato impulso all’allevamento e quindi alla produzione del pregiato formaggio.

Nelle  intenzioni degli ideatori del progetto la nuova strada avrebbe potuto favorire un aumento del reddito agricolo degli abitanti della zona riducendo così lo spopolamento dei paesi.

Per contro, con la costruzione della strada, i castagnolesi avrebbero subito un esproprio di parte dei terreni che costituivano la loro unica “ricchezza”, per loro significava perdere parte dei preziosi magri pascoli indispensabili per le loro bestie, per questo in ultima analisi si dimostrarono contrari al progetto che non venne quindi mai attuato.

 

I  Casoni oggi

Con lo spopolamento progressivo del paese di Castagnola e la conseguente fine dell’attività di allevamento, anche i Casoni vennero poco a poco abbandonati.

L’abbandono, l’incuria, gli agenti atmosferici causarono con il tempo il crollo di gran parte delle costruzioni che ora si presentano come ruderi invasi dai rovi e da altra vegetazione e offrono uno spettacolo davvero desolante.

Confessa la signora Franca che due o tre anni fa, quando nel corso di una passeggiata ha attraversato i ruderi dei Casoni, ripensando alla vita e al lavoro che vi si svolgeva fino a qualche decennio prima, si è seduta su un sasso e non ha potuto fare a meno di piangere.