La leggenda dei Briganti

pastedGraphic.png

pastedGraphic_1.png

Gli abitanti di Castagnola raccontano un’antica leggenda, tramandata da secoli di generazione in generazione, secondo la quale Castagnola fu fondata, forse intorno all’anno mille, da tre briganti in fuga.

Di loro si conoscono solo i cognomi: Casella, Calamari, Cervini…

Da dove e da che cosa fuggivano i tre briganti?        

Quali  oscuri segreti nascondeva il loro passato?

 

I vincitori del Concorso Letterario 2006 

“Costruisci la Leggenda di Castagnola”

hanno immaginato la loro storia intrecciandola con le origini dell’abitato di Castagnola.

Leggi anche tu le due leggende premiate.

La leggenda di Castagnola

     <<La sentenza è definitiva! Tre anni di dura prigione per Calamari, Cervini e Casella>> disse il giudice di Genova.
Calamari commentò subito sotto voce: <<Noi tre poveracci, tre anni di prigione solo per essere entrati nel parco privato di un ricco! Che ingiustizia…!>>
I tre vennero subito sbattuti in cella a pane e acqua.
Dopo qualche giorno ebbero un’idea.

 <<A mezzanotte fuggiremo sulle montagne. Se ci cercheranno penseranno che siamo fuggiti via mare!>> disse per primo Cervini, ma Casella continuò: <<Però ci porteremo le tre contadinelle che lavorano qui vicino anche di notte, cercheremo un luogo sicuro e poi costruiremo un paesino e cominceremo una nuova vita!>>.  Calamari, curioso per l’idea, domandò: <<Ma ce la faremo? Ci scopriranno? Riusciremo a costruire il paese?>>   Cervini gli rispose: <<Non essere pessimista! Vedrai che ce la faremo!>>

     A mezzanotte in punto erano già svegli.  Casella, con la sua forza, aprì le sbarre della cella e i tre briganti uscirono, si presero le contadinelle, che li credevano eroi (si erano conosciuti perché potevano parlare dalla prigione) e camminarono per alcuni giorni fino a raggiungere la montagna prescelta. 

Lì salirono fino a un punto, che per loro era quello giusto.

Lì decisero di rifugiarsi e di costruire il paese.

     Quel posto era pieno di castagni e decisero di chiamarlo “Castagnola”.

Però per le case ci voleva spazio, così tagliarono alcuni castagni, li usarono per fare le case insieme ai sassi e al fango. Ne costruirono alcune per quando i loro figli sarebbero stati adulti, ma la loro casa la misero più in alto, dove potevano vedere chi arrivava al paese.

      La figlia di Calamari si sposò con il figlio di Cervini e il figlio di Casella si sposò con la figlia di Cervini… Con le loro mogli, fecero tanti figli, in questo modo formarono tante famiglie e quindi riuscirono a fare il paese.

Si nutrivano di caccia, pesca  raccolta di castagne e altri vegetali.

Quando i figli furono adulti, andarono nelle case precedentemente fabbricate dai loro papà. Così Castagnola divenne sempre più grande.

 Loro, ogni anno, forse il 14 di agosto, facevano una festa molto speciale: mangiavano zuppe, carne  e bevevano acqua e vino.

Ancora oggi, ogni anno, in agosto, gli abitanti del paesino di Castagnola, mangiano e bevono le cose di una volta, celebrando la

“Festa dei Briganti”.

Fine

Deborah , anni 10 , vincitrice della sezione bambini

 

  

Noi siam nati chissà quando chissà dove

  … “Dato che tutti gli altri posti erano occupati, ci siamo seduti dalla parte del torto”…

Sull’umida e buia parete della cella, i tre prigionieri avevano inciso questo motto, ma nessuno di essi si era orientato facilmente e con leggerezza verso tale scelta.

Nel loro animo si erano svolti infatti dolorosi richiami di coscienza: essi avevano per molto tempo subito angherie e soprusi che avevano fatto divampare nei loro animi la fiamma della ribellione e si erano resi così partecipi di vari furti e gravi ferimenti; azioni che li condussero alla condanna ai lavori forzati.

Avevano il corpo prosciugato dalle privazioni e dalle immani fatiche, ma gli occhi ardevano dalla smania febbrile di realizzare il loro unico desiderio: evadere. 

Il fioco e tremulo lume della torcia che dalle strette scale della prigione filtrava nella segreta, pareva loro un tacito e arcano segnale che dava ulteriore coraggio all’ormai definitiva decisione di fuga.

L’ indomani quattordici agosto 1 066 durante le tre ore di lunga marcia che ogni giorno li conduceva ai lavori forzati, essi avrebbero posto in atto il loro piano.

Tutto era stabilito. Dopo un’ora e mezza di cammino si sarebbe raggiunta la strada maestra presso la quale occorreva fermarsi per far procedere i carri dei contadini e dei venditori che sollevando nuvole polverose si dirigevano monotoni, lenti e pesanti verso i mercati della città di Piacenza.

Il caldo afoso rendeva greve il respiro, il cielo spandeva una luce biancastra che smorzava la vista; così quel giorno Calamari, il prigioniero numero 321, insieme ai suoi compagni di cella, Casella il 322 e Cervini il 323, giunsero all’incrocio con la strada maestra.

Qui il lungo corteo polveroso dei detenuti dovette dividersi e collocarsi ai due lati della strada, mentre tra le due file scorreva il lento e assordante convoglio di carri.

Assopite dalla calura, smorzati i sensi dal frastuono, le guardie non notarono i tre che, lentamente, badando a non interrompere il ritmo cadenzato e pesante del tonfo dei grossi zoccoli, si spostarono dalla fiumana degli uomini e dei carri.

Come sottili e quasi schivi rami che lievemente, allo spirar delle carezze del vento, ondeggiano vicino al grosso tronco che li sorregge e li vincola, quasi a volersene, con titubanza e discrezione, allontanare; così essi cominciarono ad accelerare sempre più il passo fino a ritrovarsi presi da una corsa a perdifiato giù per i morbidi pendii limitrofi, tra il biondo del fieno e il turchese del cielo, tre punti vivi all’orizzonte.

S’inoltrarono lungo il sentiero presso Rocca dei Bori e, accolti dai fitti e frondosi alberi come tra le sicure e protettive braccia materne, rallentarono gradualmente la corsa.

Si stese un velo di silenzio tra loro, come a voler permettere di assaporare ancor più intensamente l’intima gioia del rifiorire delle loro speranze.

Erano intenzionati a raggiungere quanto prima possibile la costa ligure per tentare una fuga per mare.

A valle scorrevano chiare e con dolci sussurri le perenni acque dell’Aveto.

Camminarono a lungo attraverso picchi arditi, valli ombrose e sentieri scoscesi. Percorsero in altopiano una lunga mulattiera a cui seguivano vigneti degradanti verso la vallata.

Protetti dalle alture e guidati dalle cerulee acque dell’Aveto, ch’essi non perdevano di vista, all’imbrunire decisero di sostare presso una stalla apparentemente abbandonata.

Iniziarono a prepararsi un giaciglio per la notte con poca paglia, mentre dalle ampie sconnessure delle travi filtrava la luce purpurea del giorno che illanguidiva tra il nereggiare dei castagni.

Subito essi come stanchi fanciulli per la faticosa giornata trascorsa, caddero in un sonno profondo.

Nel silenzio notturno, rotto solo dal canto dei grilli e dallo stormire delle foglie, si udirono improvvisamente le grida strazianti di alcune donne.

Balzarono repentinamente dai loro improvvisati giacigli e videro, a poca distanza dal luogo in cui si trovavano, grandi fiammate e scintille provenienti da un casolare di legno, percepirono nel contempo l’odore acre,intenso e soffocante del fumo che s’avvolgeva e si mescolava alle lingue di fuoco.

Essi non esitarono a dirigersi verso quelle voci disperate,non temettero di poter essere poi in qualche modo scoperti una volta conclusosi quel drammatico evento.

Implacabile e imperioso come lo stesso fuoco che stava avviluppando la casetta fu l’istinto di precipitarsi in soccorso degli abitanti che in quel momento versavano in grave pericolo.

La piccola casa, disposta su due piani, aveva la parte alta avvolta dalle fiamme; tre giovani donne chiamavano con grida disperate il loro padre e la loro madre.

La stanza in cui riposavano le giovinette era al piano inferiore ed esse appena in tempo erano riuscite a fuggire dall’abitazione.

Bloccati all’interno erano invece rimasti i loro genitori poiché sia la scala che conduceva al piano inferiore, sia la finestra erano completamente in preda alle fiamme.

Calamari notò tuttavia nella parte alta della casa una feritoia rotonda e sufficientemente ampia che con ogni probabilità immetteva nel solaio.

Con fulminea prontezza chiamò Casella e, con l’aiuto di Cervini, salì sulle sue spalle; da quell’altezza riuscì a issarsi, facendo perno con i piedi lungo la parete, dentro la feritoia.

Probabilmente, mentre cercavano di raggiungere quell’unica possibilità di salvezza, essi avevano perso i sensi a causa del fumo intenso propagatosi.

Calamari afferrò con tutta la forza delle sue braccia la donna, la fece passare attraverso la feritoia e l’adagiò fra le braccia dei compagni che nel frattempo lo aiutavano reggendo la donna per le gambe.

Senza indugiare nemmeno un attimo, Calamari fece lo stesso mettendo in salvo l’uomo. Le fiamme stavano aggiungendo velocemente anche il solaio ed egli non esitò a saltare dalla feritoia, noncurante dell’altezza.

Altro non c’era da fare se non assistere impotenti alla lenta distruzione del casolare, mentre le ragazze piangenti, nella gioia di veder salvi i propri cari pur nella disperazione dell’evento, li osservavano con ansia mentre lentamente si rianimavano.

Loro tutti ad una certa distanza sotto un castagno, restarono nel cuor della notte ad osservare tristemente il devastante spettacolo fino a veder placarsi l’incendio dopo aver divorato la dimora.

Le mani strette nelle altrui mani, il cuore gonfio di dolore e gli occhi senza ormai più lacrime ma con i segni di un lungo e amaro trascorso pianto: a questo quadro desolante Calamari, Casella e Cervini, al primo albeggiare del giorno oltre le alture, assistettero in silenzio, pietosamente assorti.

Dopo ogni pericolo scampato si riesce pian piano a dimenticare i momenti tragici volgendo il nostro sguardo intimo a cogliere, come da una rinascente primavera, gli aspetti più sereni della vita che ci è innanzi.

Così la famiglia Briggi, tale era il nome degli sventurati, si rincuorò, coltivando un immenso senso di gratitudine verso i tre evasi.

La vita è vero continuava ma i Briggi si sarebbero dovuti allontanare dal luogo in cui erano nati e cresciuti.

Essi si erano isolati dal resto della comunità, ma in quel luogo avevano coltivato piccoli appezzamenti di terra a vigneto in primavera; sul finire dell’estate e in autunno, nei boschi che scendono dai crinali sull’Aveto o che si stendono verso il Carevolo, coglievano fughi: ovuli, porcini, “spinaroli”.

Nei boschi di castagno si procuravano i generosi e nutrienti frutti, non molto grandi ma dolci e saporiti, con cui preparavano la farina, il castagnaccio e, aggiungendoli al latte delle loro pecore, facevano le “prebugie”.

Di questo e dei riflessi di sole sull’Aveto, della purezza dell’aria che pareva filtrata dal verde schermo del fogliame, essi vivevano.

I tre evasi percepirono il delicato e pur forte sentimento che legava la famiglia alla propria terra e si convinsero che avrebbero potuto aiutarla fattivamente a ricostruire pietra dopo pietra il loro casolare.

I Briggi accolsero con entusiasmo la proposta non nascondendo tuttavia le loro perplessità in merito a una così generosa offerta di auto in quanto i tre avrebbero dovuto sacrificare il loro tempo sottraendosi anche ai loro impegni e alle loro famiglie.

Casella e i suoi compagni, prevedendo una cocente delusione da parte dei Briggi non ebbero il coraggio di spiegar loro da dove provenivano e dove erano diretti. Così dissero che, essendo in pellegrinaggio verso Santiago de Compostela, avrebbero dovuto proseguire una volta terminata la ricostruzione della casa.

Così ogni mattina, al levar del sole, caricati i sacchi di iuta sul dorso di un mulo, procedevano lungo il torrente per prelevare le pietre e riportarle a monte.

L’autunno avanzava tra il rosseggiar degli aceri e il verde oro dei faggi e quando l’inverno filtrò gelido tra le fessure della stalla, la casa in pietra era pronta.

Durante quel lento e faticoso accostare pietra su pietra, anche un’altra famiglia di pastori, al corrente della notizia che correva di valle in valle, alimentata anche dai cantilenanti recitativi dei cantastorie che riecheggiavano nelle piazze, venne a costruire la propria dimora presso i Briggi. E l’anno successivo un’altra ancora.

Pensarono i tre che fosse giunto il momento di riprendere il cammino verso il mare.

Ma ogni sera, prima di addormentarsi essi si interrogavano, ciascuno in cuor suo, su un bisogno apparentemente inspiegabile: quello di non abbandonare la quiete di quella valle ombrosa, la dolce solennità della natura e degli animi dei loro amici del piccolo borgo.

In verità, durante alcune conversazioni nei giorni precedenti, avevano già fatto trapelare l’uno all’altro tale intendimento con velati riferimenti, allusioni appena accennate ma significative. Infine si confidarono apertamente e decisero di restare in quel luogo ormai divenuto caro.

Consci che si sarebbero esposti al rischio di venire un giorno scoperti e ricondotti in carcere, decisero tuttavia di accettarne l’eventualità.

Non tardò molto infatti che giunse al villaggio un nutrito stuolo di guardie armate, presumibilmente arrivate a scoprire i tre grazie alla risonanza dei racconti dei cantastorie.

Gli abitanti del piccolo villaggio si mossero in difesa della bontà d’animo dei tre fuggitivi ma solo un’eventuale clemenza del giudice, in virtù dei loro comportamenti meritori, avrebbe forse mitigato la pena.

Le tre giovani donne, reprimendo con forza l’impeto di pianto che prepotentemente scuoteva il loro cure, si avvicinarono ai tre senza nulla dire. Solo le mani si congiunsero con quelle dei prigionieri, in una stretta forte ed eloquente.

E per la prima volta gli occhi dei tre sventurati si velarono di quel timido, delicato e nello stesso tempo maestoso e profondo pianto di gioia.

Era il 21 dicembre 1 066.

La loro pena fu commutata a due ani e quattro mesi.

La primavera dell’anno 1 069 vide il definitivo ritorno dei “briganti” presso il villaggio tanto atteso ed amato sempre più negli ultimi tempi di prigionia.

Tornavano essi al loro villaggio a cui dettero un nome che richiamava gli amati castagni, compagni antichi dei loro luoghi e spettatori sereni e austeri dei loro destini: Castagnola.

Fine

Elena, vincitrice della sezione adulti.